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Ciliegie
Cartelli turistici posti all'ingresso dei paesi sbandierano con giusto orgoglio le vocazioni di certi territori piemontesi per la coltivazione della ciliegia.
Quello che in genere non si sa è che la ciliegia è stata una coltura di ripiego, una alternativa alla vite in anni in cui la filossera aveva devastato i vigneti e compromesso la produzione enologica.
La vicinanza di Torino, che con le sue molte famiglie borghesi consumatrici di frutta sciroppata rappresentava un buon bacino di mercato, spinse parecchi contadini a piantare ciliegi, confidando tra l'altro nel particolare microclima collinare che già aveva dimostrato di giovare a questo frutto.
Così, a poco a poco, si specializzarono e si definirono le varietà classiche piemontesi, molto più dolci delle ciliegie selvatiche e anche di tanti ibridi di recente importazione.
Per esempio il robusto Graffione Bianco, con buccia chiara e polpa rossa, dolce, succosa e molto aromatica. Abbastanza simile, solo più rosso e brillante, è il Galucio, mentre la Vittona è più carnosa e delicata. La Vignola (polpa molle e quasi nera, ottima per le confetture) appartiene alla vasta schiera delle primaticce, insieme alla Martini, alla Burlat, alla Bigarreau.
Poi, ci sono le Amarene e le Visciole, ciliegie amarognole e asprigne, dal colore vivissimo e dalla polpa succosa che sono la base della preparazione del Ratafià, un infuso tipico Vercellese, tuttora distillato da una famiglia di produttori.
A parte questo storico liquore, le ciliegie sono consumate fresche o in confettura, oppure candite o sciroppate, costituiscono la guarnizione tradizionale di torte, gelati e pasticcini.
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